Di cosa parliamo quando diciamo "associazionismo sportivo"?

All'incontro all'Angelo Mai si parlerà anche di associazionismo sportivo. Ma cosa intendiamo quando usiamo questo termine? Facciamo qualche esempio...
02.10.2020 10:58 di Luca Bolli   vedi letture
Di cosa parliamo quando diciamo "associazionismo sportivo"?

Questa sera all'Angelo Mai a Roma si discuterà di calcio popolare in particolare e associazionismo sportivo in generale: come ben saprete, infatti, anche si parliamo prevalentemente del Sankt Pauli come club calcistico, l'associazione sportiva abbraccia tutta una serie di discipline che non serve qui elencare. Basta pensare che – ahinoi! - il Fußball-Club è tra le sezioni meno vincenti di tutta la società polisportiva.
Ma cosa caratterizza un'associazione sportiva, tedesca in questo caso, dai club dei quali siamo abituati a parlare in Italia? Nei mesi scorsi sulla pagina facebook delle “Brigate Garibaldi Sankt Pauli” sono state trattate tre storie emblematiche, che possono far capire meglio il differente rapporto che si crea tra associazione sportiva e tifosi-soci, rispetto a quello tra Club-Spa e tifosi-clienti. Il primo è prettamente tedesco, il secondo tutto italiano.

Il primo episodio, probabilmente il più conosciuto, è quello che riguarda il licenziamento di Cenk Sahin, ex giocatore braun-weiss reo di aver sostenuto l'invasione del Rojava da parte dell’esercito turco e, di fatto, di appoggiare il dittatore fascista Erdogan.
La società del Sankt Pauli, col sostegno della tifoseria e dunque dei soci, ha dato immediatamente il benservito al proprio centrocampista.

La seconda storia che vorremmo riproporre è quella del socio del Magonza (o Mainz) che, in una lettera inviata alla presidenza, si lamentava dei troppi “non tedeschi” (leggasi “neri”) presenti nella rosa. Il tutto con la consueta premessa “io non sono razzista ma...”.
La dirigenza ha salutato il socio – uno degli oltre 15.000 facenti parte dell'associazione – giustificando l'addio con parole chiare e inequivocabili: "Il Mainz è una famiglia di persone di religioni, lingue e culture differenti. Persone di qualsiasi provenienza, invalidi, portatori di handycap e di qualsiasi razza, genere o identità sessuale sono benvenuti nella nostra casa sportiva". Addio tessera e aree sportive interdette per lui.

L'ultimo, anche in ordine temporale, è probabilmente il più spassoso, non fosse altro per la risposta che il Colonia ha saputo tirar fuori per “salutare” un socio poco attento allo statuto societario.
Alla presentazione delle nuove maglie un socio nota che sul rosso a tinta unita della divisa si staglia in trasparenza lo skyline della città, che da qualche anno comprende anche la moschea.
“Visto che non mi posso identificare con i musulmani e le moschee vi rendo nota la mia uscita da questa organizzazione religiosa”, annuncia con una punta di sarcasmo, consigliando poi una nuova maglia rosa per una “perfetta apertura al mondo”.
La dirigenza non si è scomposta: ha chiesto se il socio avesse mai letto lo statuto (che mette al bando discriminazioni e intolleranza), ha confermato la risoluzione del rapporto senza rammarico ed infine ha presentato sui social una finta quarta maglia in tinta rosa.
 
La morale? La condivisione e l'inclusione sono il fondamento di un'associazione sportiva e tra i suoi obiettivi deve esserci anche la creazione di una comunità tollerante. In Italia sorvoliamo su croci celtiche, tetre figurine, cori balordi e soprusi di stampo razzista, omofobo e politico.
Anche per questo è bene parlare di associazionismo sportivo: per conoscerlo meglio e saper riconoscere i suoi punti di forza. E un giorno, chissà, per fare un deciso balzo in avanti in questo senso anche in Italia.