Interviste pirata: Nando Mainardi, ovvero calcio, scrittura e impegno politico

17.12.2020 12:00 di  Massimo Finizio   vedi letture
Nando Mainardi
Nando Mainardi

Per la serie delle interviste sankpauliane questa volta abbiamo incontrato Nando Mainardi. Militante di Rifondazione Comunista, responsabile sport dello stesso partito e autore di diverse pubblicazioni sul calcio e sulla musica (Jannacci e Gaber su tutti), Mainardi in virtù della sua conoscenza a trecentosessanta gradi del mondo del calcio è inevitabilmente tifoso della squadra biancomarrone di Amburgo.

Da tanto tempo sei un grandissimo tifoso del Sankt Pauli quando e come sei entrato a far parte di questa grande famiglia?

Da qualche anno, da quando ho scoperto la storia straordinaria di questa squadra.  

Il Sankt Pauli è campione nel calcio per non vedenti e campione nel rugby (8 scudetti vinti), è fortissimo nel beach-volley e va bene anche nel triathlon, Vela e Pallamano, come mai in Italia nessuno conosce questi fatti sportivi?

La ragione mi sembra evidente: giornali e televisioni sono assolutamente funzionali all'idea della sport come fatto esclusivamente competitivo, selettivo, in cui chi ha più soldi vince, con la conseguente rimozione di tutto ciò che ha implicazioni sociali e politiche. Da una parte c'è il calciatore assunto a divinità irraggiungibile - e le divinità possono essere solo adorate o odiate, a favore però sempre di altre - e dall'altra c'è lo sportivo, il tifoso, ridotto passivamente a semplice spettatore. Questo schema tende a eliminare per definizione lo sport come terreno di organizzazione popolare.  Del resto, stiamo parlando di alcune tendenze - la logica sempre più pervasiva del profitto, l'erosione della dimensione collettiva a favore di quella tutta individualistica - che in questi decenni hanno prevalso in termini più generali, e da questo punto di vista lo sport e il modo con cui viene rappresentato sono una parte "coerente" del tutto. Per questo la maggioranza delle persone che seguono lo sport non conosce il St. Pauli. Però attenzione: parliamo di tendenze maggioritarie, maggioranze appunto. In Italia va detto che non mancano voci impegnate a raccontare e a rappresentare, con seguito, lo sport in modo diverso. Tu stesso hai intervistato Darwin Pastorin, che non solo sa raccontare da sempre il calcio in modo poetico e anticonformista, ma è attentissimo allo sport come generatore di relazioni, iniziative e legami sociali. E poi ci sono tante testate formali e informali on line, sui social, che fanno un vero e proprio lavoro di controinformazione, e che guardano al Sankt Pauli come un riferimento molto significativo.           

Il modello associativo tedesco, che noi chiamiamo modello Sankt Pauli, ha un notevole impatto sociale contro razzismo e discriminazione e favorisce competitività sportiva senza gravare sul bilancio. Cosa ci consigli a noi di tuttostpauli.com per avviare la pratica per una proposta di Legge sullo Sport Popolare?

Quello di fare rete, di coinvolgere le tante esperienze e persone che pure sono attive in Italia, e che organizzando attività sportive fanno anche comunità, iniziativa politica, mutualismo sociale. E quello di provare a organizzare occasioni pubbliche di confronto e di dibattito, proprio per far conoscere in modo più ampio possibile, e crescere, quella che a oggi è solo l'altra faccia dello sport, ma che dovrebbe essere quella emergente e più importante.  

In Italia fioriscono decine di associazioni sportive di base i cui valori fondativi sono in linea con quelli associativi tedeschi e del Sankt Pauli, purtroppo sono poco conosciute e non riescono a fare rete tra di loro, anche a causa di un quadro normativo insufficiente. Pensi che lo sviluppo di queste associazioni, magari anche affiancata da una nuova legge sullo sport a loro sostegno, possa aiutare la ripresa dello sport italiano a livello di federazioni e di CONI? 

Sì, lo dicevo già rispondendo alla domanda precedente. Certo: la crescita e lo sviluppo delle associazioni sportive che - oltre a promuovere la propria o le proprie discipline, cosa ovviamente molto importante - intervengono sul territorio, si confrontano con i bisogni sociali del proprio quartiere o del proprio paese - può aiutare al tempo stesso, in termini più generali, la diffusione e la popolarità dello sport. 

Come può uscire lo sport italiano dalla crisi (e non ci riferiamo solo all'emergenza COVID)? 

La domanda è complessa, perché la crisi dello sport è l'espressione di una crisi sociale più generale. Poiché è difficile dare una risposta complessiva efficace in così poco spazio, mi limito ad affrontare un aspetto molto circoscritto e che ha a che fare con il posto in cui abito, una piccola città emiliano-romagnola di 15.000 abitanti, ma che credo abbia implicazioni più generali. A me piace il calcio, e ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza a giocare a pallone per strada, in cortile, nei campetti presenti qui e là. Uno sviluppo urbanistico del territorio basato sul cemento ovunque e una mobilità a misura di automobile oggi rendono invece impossibile quel "calcio diffuso" di cui dicevo. I campetti che c'erano sono spariti, "mangiati" da interventi urbanistici o presi in gestione dalla società calcistica principale, che li rende accessibili solo alle proprie squadre. Parlo di questo, perché in realtà, come ti dicevo, si tratta di una situazione piuttosto diffusa, non solo del mio paese, plasmata dalle trasformazioni del territorio dettate dagli interessi economici e dalle trasformazioni sociali. Perché allora, per esempio, non obbligare tutti i Comuni a mettere a disposizione a chiunque lo volesse un prato, un campo in cui sia possibile giocare a calcio, o a pallavolo o altro, magari dandolo in gestione a un'associazione sportiva di base? Detto che si tratta di una piccola proposta, anche promuovere lo sport "informale" significa, nuovamente, contribuire a mettere in discussione una concezione elitaria ed escludente dello sport, che è espressione - come dicevamo - di processi sociali e culturali che in questi anni hanno scavato significativamente.