Sport popolare, partecipazione, cittadinanza (intervista a Fabio Vander)

03.12.2020 08:00 di  Massimo Finizio   vedi letture
Sport popolare, partecipazione, cittadinanza (intervista a Fabio Vander)

Queste dunque le priorità della possibile e necessaria alternativa al populismo: organizzazione delle masse popolari, autonomia culturale e politica, un partito della sinistra in grado di corrispondere al dettato dell’articolo 49 della Costituzione: “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”

Fabio Vander ha le idee chiare.

Nato a Roma nel 1958 e laureato in filosofia con Gennaro Sasso e in scienze politiche con Pietro Scoppola, Fabio Vander è autore di saggi storici e filosofici sulla crisi della democrazia in Italia e interviene spesso sulla stampa, in particolare su Il manifesto. È segretario della senatrice Liliana Segre presso il Senato della Repubblica. 

Ed è un grande tifoso del Santk Pauli.

Da tanto tempo sei un grandissimo tifoso del Sankt Pauli quando e come sei entrato a far parte di questa grande famiglia?

Sankt Pauli è il cuore rosso di Amburgo, doppiamente rosso potrebbe dirsi, già questo mi ha sempre incuriosito. Quando poi ho conosciuto la storia della squadra del Sankt Pauli avvicinarmi è stato naturale.

Il Sankt Pauli è campione nel calcio per non vedenti e campione nel rugby (8 scudetti vinti), è fortissimo nel beach-volley e va bene anche nel Triathlon. Come mai in Italia nessuno conosce questi fatti sportivi?

Una realtà come il Sankt Pauli merita sicuramente maggiore attenzione, perché costituisce un modello, uno dei modi più originali di esprimere l’essenza dello sport, fatto agonistico, ma anche sociale, di partecipazione, integrazione, crescita personale e collettiva. Spero che ci siano occasioni non solo per far conoscere il modello-Sankt Pauli all’estero, ma ove possibile anche per esportarlo, per diffondere valori e modi di organizzazione e governance democratica.  

In un tuo articolo di tempo fa accenni a Gramsci, alla “ripulsa della politica....” sottolinei due elementi: politica immatura e regressiva, per concluderne che la politica oggi manca di credibilità e di organizzazione democratica, favorendo pratiche “nomadi” e trasformiste. Questa situazione può forse fornire una spiegazione del perché da decenni ormai lo Sport non viene visto come fatto aggregativo e sociale, come invece è ancora per la politica tedesca?

Non c’è dubbio che un basso livello della classe politica ha riflessi negativi e addirittura regressivi sulla vita sociale. Una classe politica che non sa essere classe dirigente, così diceva Gramsci, è un grave handicap per qualsiasi Paese. E in Italia, soprattutto da quando sono venuti meno i grandi partiti popolari del secondo novecento, c’è stato indubbiamente un decadimento della qualità dell’offerta politica, che ha favorito il populismo e in genere la destra. 

Per fortuna però l’Italia può vantare una grande Costituzione democratica, che costituisce tuttora una salda garanzia per il Paese e comunque anche una società civile vivace e dinamica, il che lascia aperte possibilità positive per il futuro. Anche quanto allo sport, il fatto che il Comitato Olimpico Nazionale (CONI) abbia un saldo impianto autonomo dalla politica è un patrimonio prezioso che occorre assolutamente preservare.

Il modello associativo tedesco, che noi chiamiamo modello Sankt Pauli, ha un notevole impatto sociale contro razzismo e discriminazione e favorisce competitività sportiva senza gravare sul bilancio. Cosa ci consigli a noi di tuttostpauli.com per avviare la pratica per una proposta di Legge sullo Sport Popolare?

Solo una considerazione di carattere generale: in tutta Europa lo sport è concepito come una risorsa strategica, un contributo irrinunciabile alla qualità della vita, un vero e proprio diritto di cittadinanza, un presidio di democrazia e solidarietà.  

Qualsiasi ipotesi di riforma deve salvaguardare questi principi ed avere questo respiro, mai cioè privilegiare i macro-interessi privati, speculativi e legati in modo abnorme ad esempio ai diritti televisivi. Ma, ripeto, è soprattutto l’autonomia del settore sportivo che va tutelata, ovviamente sotto controllo democratico, appunto perché l’interesse pubblico, di accesso generalizzato alla pratica sportiva, venga sempre tutelato.  

In Italia fioriscono decine di associazioni sportive di base i cui valori fondativi sono in linea con quelli associativi tedeschi e del Sankt Pauli, purtroppo sono poco conosciute e non riescono a fare rete tra di loro, anche a causa di un quadro normativo insufficiente. Pensi che lo sviluppo di queste associazioni, magari anche affiancata da una nuova legge sullo sport a loro sostegno, possa aiutare la ripresa dello sport italiano a livello di federazioni e di CONI?

Vorrei raccontare un piccolo episodio personale, che però può avere un valore più generale. Mio nonno era un corridore ciclista dilettante, di lavoro era panettiere e addirittura nel 1919 fu il primo a proporre a Roma e poi a livello nazionale la federazione ciclistica della sua categoria. Conservo ancora a casa, anzi lo ho affisso nel mio studio, un manifestino dal titolo barricadero: “Compagni!” con cui mio nonno e i suoi amici promuovevano il primo circolo sportivo dei panettieri. Nell’Italia del primo dopoguerra, nell’Italia liberale in cui il movimento operaio cominciava a scontrarsi col fascismo nascente, la società civile cercava una sua via di autorganizzazione e di promozione di valori anche sportivi e comunque civili, formativi, per il tempo libero.

Credo che quello spirito dovrebbe ancora guidarci. Il modello Sankt-Pauli ha una storia, ma per fortuna ce la ha lo sport popolare europeo nel suo complesso.

Nel merito una nuova legge sullo sport popolare può certamente essere utile ed anzi potrebbe anche trattarsi di un disegno di legge di iniziativa popolare, che viene cioè dal basso, ma bisogna comunque mantenere i riflettori accesi anche sul disegno di legge “disposizioni in materia di ordinamento sportivo” attualmente al vaglio del Parlamento, perché trattandosi di “deleghe al Governo” bisogna evitare che l’autonomia dello sport ovvero del CONI venga in qualsiasi modo messa a repentaglio.